Poesie della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla

fiori libro

Dal Laboratorio della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla del 15 febbraio 2025, testi selezionati dal professor Umberto Piersanti.
 

Di questa tomba guardo i fiori secchi
fucilati sul nero della terra aperta,
le foto salvate di un altro corpo
di me sottosopra, con gli anni
raddoppiati sullo specchio che mi umilia. 
Le piccole frane sono pietre
nascoste, in inverno, sotto gli alti colli
dei maglioni. D’estate no, invece.
I mesi di scorta tengono a bada
questo letto di vene rotte, il sole
compensa quel nutrimento fatto di briciole, 
di echi dispersi dietro alle vetrate.
La china sbiadisce signori miei, come la sera,
quando taglia la luce e forma
righe verticali sui muri già rovinati. 
Mi lascio esistere, senza una vita di scorta. 

                                                                            Febbraio 25

Silvia Gelosi

Sant’Orsola

la signora
delle pulizie
con le mani d’oro
svuota cestini
vende pappagalli,
ma a noi li regala,
solo se vogliamo

veri, non per orinare
lei e il suo compagno
allevano Ara,
ere-ire,
l’acca va a dormire
in fondo orinare
è termine elegante,
dal greco antico

quel giorno Attilio
scomparve dal suo letto,
se n’era tornato
a curarsi in Puglia,
sua terra natale

diceva la signora,
quella dei pappagalli-
bisbigliavano i cestini-
che era poco distante:
nella cappellina

in fondo anche questo
è termine elegante,
dal latino mortŭus,
participio perfetto
del verbo morire

                             4/12/2024-12/01/2025                                                        
Emanuela Capodarco

Roma

Passeggio sospeso nel tempo
leggero e stanco
il TEVERE ho attraversato
non chiedere da quale ponte
faceva molto caldo
il “dado è tratto”(Alea iacta est 49A.C)
le ansie  lo stress evaporano
in queste ancestrali strade.


                                                        12-18/01/2025                                                             

Ismaele Vipera

Alea iacta est (Giulio Cesare 49 A.C.)
Il dado è tratto oppure i dadi sono tirati.

*

Le attese rovinano gli occhi

cambiano velo alle parole
scrostano il muro
al passo lento del cammino
nella notte che attraversa
il bagliore del tuo piccolo seno

ti ricordi il vestito leggero
fuggito alla vista tra neve e gelo
l’ingenuità delle mie mani
nel tempo di un cuore malandato?

abbiamo coccolato l’anima
fino a sentirne la voce nuova
succhiato il resto all’ultimo balbettio

cercando di fare del domani
un giorno non come un altro della vita.

Roberto Casati

A Nadia

<<tutta la vita è stata un esercizio per tornare al tuo corpo
caldo come la terra>>. (Maria Grazia Calandrone).

si allungavano le ombre a pelo d’acqua
si lasciavano cadere dal ponte,
mentre tutti guardavamo quel corpo
nudo, tu guardavi il mondo nel grembo

a notte alta, nella città deserta
da sola camminavi a passo svelto
sempre, sempre a un passo dall’insaputo
inciampavi nel presente, nei corpi

segnata a dito alla cieca venivi
avanti eppure era mattino ancora
te ne stavi in piedi a scrutare nulla,
nulla o poco facevi quando ancora
frenetica intorno a te s’aggirava
la moltitudine che sconfinava,
che ti teneva lontana dal mare,

e restavi a lungo in profondità
e sul corpo non vennero trovate
tracce di violenza né lividure
sulle braccia innumerevoli buchi,

più cattivo era il dolore di ognuno,
più e più alta su dagli angoli t’ alzavi
innumerevoli volte là dove
c’erano creature d’ogni sorta
il brusìo di colpo si placava,
mentre con il tuo passo spedito
d’intorno trascorrevi quell’estate
che passava di te vociferando

                                                                                   gennaio 2025                             

 Marco Di Genova

Poesie della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla

libri di poesia

Dal Laboratorio della Scuola di cultura e scrittura poetica Sibilla dell’11 gennaio 2025, testi selezionati dal professor Umberto Piersanti.

Limina                                                                                                                                          

amami a Ponterosso
questa sera,
due sorsi di blues
e il mio nome,
il tramonto
slacciato sulle labbra,

sillaba un adagio
alla vita che non vede,
il giorno nel segreto
a bagliori chiusi

– è troppo freddo
il gusto della pelle
se mi risvegli presto,
aspettami in quell’accordo
senza risoluzione,
non voglio che arriviamo
dove muore il sole –

amami a Ponterosso
questa sera,
crederemo insieme
alle ombre controtempo,
all’alba che lusinga.                                                                                                                                                                                                      Trieste

Erika Signorato

Nebbia bassa sul fossato
nessun volo tra le nubi

il canneto non fiata

echi di parole divorate
s’intrecciano fra i rami nudi

Io sento

Gabriela Silenzi

Consulto il calendario

Consulto il calendario
ma il modo
il come
il quando
non mi è dato

mi perdo in questo stato provvisorio
qualcuno è già partito
qualcuno è già avvisato

il tempo
si fa tempo che rimane
non dice la scadenza
la vita annotta
così che a poco a poco 
ce ne andiamo

e come “un vizio assurdo” che permane
il tutto
in un momento è tramutato

Lei sempre arriva
e sempre inaspettata
varca il confine
nell’ultimo respiro
e ciò che prima era
 ora non è                                                                   

Mecozzi Ilda

Trento, centotrenta

 Vissuta intensamente tra l’orto
e la strada, ubicata tra uno
stabilimento vinicolo e altri
modesti domicili da cui uscivano
ragazzi come numeri al gioco del lotto.
Poche stanze, dormite in comune,
un caminetto e due bracieri per
un pò di calore, bagno esterno
con contorno di calle e rose,
autospurgo a cadenza trimestrale
come un estratto conto bancario.
Tende di legno e tende di bambù
arrotolate d’inverno, srotolate d’estate
a ombreggiare le stanze dalla luce 
delle calde estati degli anni sessanta.
L’Epifania portava cavalli a dondolo,
trenini elettrici, calciobalilla per
allietare l’inverno assieme ai compagni
di giochi, primordi di amicizie
che hanno superato l’usura del tempo,
prima dei tepori marzolini
alternati quasi sempre da fragorosi
scrosci d’acqua tra boati e fulmini.
Modesta e spartana, fu la dimora
più amata, in via Trento al centotrenta.

Giovanni Galeone